Ho studiato storia ed archeologia e se soffrissi della “sindrome di Stendhal” sarebbe per me una rovina ritrovandomi colpito da raptus e tremori al cospetto di tutto quel che ho visionato o incontrato nel corso dei miei studi.
Eppure, pur non credendo per mia formazione culturale e personale, questa storia è così piena di coincidenze da sentirmi spinto a dover pensare il contrario.
Ogni singolo rigo di quel che leggerete è un incrociarsi di vite e di “coincidenze” così potenti da avermi costretto a fermarmi molte volte, durante la ricerca e la lettura dei documenti trovati, per stupirmi. Molte volte, perchè coinvolto dal mio trascorso professionale palermitano in cui intorno a me ho visto cadere molti colleghi che erano miei personali amici, ho dovuto togliere lo sguardo dalla lettura per la mia vista annebbiata dalle lacrime. Così tanta è la crudeltà e la malvagità subita dai nostri 8 caduti che ho trovato in quelle carte!
Da quando mi sono trasferito a Livorno ho preso a vivere nel quartiere/borgo di Ardenza in una via senza uscita al cui inizio insiste un edificio difforme da quelli che lo circondano tanto che, passandovi sotto infinite volte, il mio occhio allenato alle differenze architettoniche ne rilevava elementi in contrasto al circondario. Come l’ingresso a scaloni in stile essenziale, le finestre più rialzate del normale dal piano stradale, il balcone di tipo “reale” o “patronale”, un inserto metallico portabandiera ed il sostegno pure in metallo per uno scudo o per un emblema. La cassetta “poste reali” murata nel concreto dell’ingresso portava ancora l’effige del servizio postale dei Savoia. Tutte le volte passando lì davanti mi voltavo a guardare cercando elementi nuovi sfuggiti precedentemente.
Succede così che in un pomeriggio di noia in ufficio, avendo finito tutto quel che dovevo fare, per mera lettura “passatempo” scorro le motivazioni per cui l’edificio in cui lavoro è intitolato ad un giovane S. Tenente delle Guardie di P.S. Che comandava la <<Tenenza di Ardenza>>. Al leggere “Ardenza” mi addentro nella primissima ricerca scoprendo con mio stupore che proprio quell’edificio che avevo osservato al numero 13 era esattamente la sede della Tenenza.
Inizia così, per sola noia, una ricerca che sapevo mi avrebbe travolto ma mai avrei immaginato mi avrebbe stravolto.
Raccolgo le prime carte ufficiali, che provenivano da un remoto 1949, e la storia non stava bene in piedi. Da vecchio e consumato “sceriffo” molte cose tra loro non si incasellavano e vi erano tratti mancanti grandi come voragini. Approfittando del dover comprare la cena da un amico ristoratore della zona da questi scopro che la novantaseienne madre ha abitato tutta la sua vita la casa di fronte la Tenenza e gli chiedo così di portarmi a fare una chiacchierata con la donna che sarà ancora una volta fonte di stupore. La Signora Maria ricordava lucidamente tutto. Ricordava il giovane ufficiale napoletano e la sua giovanissima moglie, ricordava un bell’uomo con i baffi alla Amedeo Nazari e ricordava un giovane siciliano capace di costruire e ruote in legno e ferro per le biciclette. Prendo così l’elenco degli 8 fucilati e scopro che le vite continuano ad incrociarsi. Ben due tra loro si chiamano Orlando come me e che la storia è strapiena di siciliani esattamente come il sottoscritto. Soprattutto la donna mi spiega che i poliziotti della Tenenza di Ardenza erano visti e vissuti dagli ardenzini (li chiamano così gli abitanti del borgo) come una affidabile risorsa e non come nemici al soldo del dittatore. Mi riempie di aneddoti e di storie. Sento così di dovermi portare subito dal Questore di Livorno per chiederle di autorizzarmi a spulciare gli archivi. Senza nemmeno farsi pregare mi mette in contatto con la direttrice dell’Archivio Storico della Città che scopro essere letteralmente privo del c.d. “fondo questura” e questo perchè nel 1943 venne dato ordine di distruggere tutto in concomitanza con l’avanzare degli alleati. Mi rivolgo quindi all’Archivio di Stato Centrale di Roma dove comincio la ricerca frammentaria di pezzi di documenti senza alcun valore per la mia ricerca. Mi imbatto per caso ad un rimando all’Archivio Nazionale di Washington. Comincio subito, con l’aiuto di un tutor online, la ricerca documentale. Al loro arrivo gli americani microfilmeranno tutto. 1800 files contenenti centinaia di fotofilm cadauno spesso praticamente non utili. Preso dallo sconforto passo le notti a scartabellare questi archivi quando dentro un fascicolo letteralmente anonimo che parlava di agricoltura trovo una lettera scritta dal Questore della Livorno liberata Salvatore Li Voti (manco a dirlo un altro siciliano) in cui racconta al ministro dell’interno la vera storia non difforme ma parecchio differente da quella a noi arrivata. Scoppio a piangere perchè se era già terribile quella conosciuta questa era anche peggio e per tanti versi anche più crudele. I nostri 8 forse e con grandi possibilità furono 9 poiché uno resterà NON riconosciuto e quindi ignoto. Le sevizie a cui furono sottoposti durarono 4 giorni e nelle notti silenziose delle campagne intorno i Colli Livornesi le loro urla di dolore furono udite dagli abitanti della zona e poi le stranezze di quei pezzi che alla storia di primo acchitto mi mancavano e che adesso avevano un loro riempimento. Una ragazzina presa a verbale racconterà di aver visto arrivare un camion da cui discesero 20 soldati vestiti di nero che parlavano italiano (noi abbiamo sempre saputo furono i tedeschi) e le carte parlavano anche di loschi figuri orbitanti intorno a questi fatti crudeli. Provarono con ogni probabilità la fuga tant’è che erano parzialmente in abiti civili ed il nono ignoto fu visto aiutarli a fuggire venendo raggiunto e freddato poco più in là. Sei in una località ed altri due altrove a circa una decina di chilometri sono il mistero che nella ricerca che continua voglio risolvere. Tante coincidenze e tanti fatti che a noi non erano arrivati. Con tutto quello che avevo trovato corro, realmente di corsa, dal Questore per raccontarle tutto e proporle di provare a chiedere quelle pietre d’inciampo che abbiamo da poco installato.
Comincio così a cercare i parenti uno per uno trovando le due figlie in vita di uno degli assassinati ed i nipoti. Mi portano le foto, le medaglie, piccoli oggetti riemersi dall’oblio cominciato nel 1974 con la consegna delle benemerenze e l’applicazione di una lapide in loro memoria davanti la Questura. Quando vennero a trovarmi in ufficio le due Signore Copernico ci siamo abbracciati ed abbiamo pianto insieme. Io sapevo cosa avevo letto nell’autopsia del loro padre ma non ho voluto intenzionalmente parlarne. Me le sono abbracciate forte mentre mi raccontavano gli anni di tristezza vissuti senza un padre eroe.
La mia ricerca non si è ancora fermata perchè sto rimettendo in piedi alcuni pezzi di una storia lontana nel tempo ma sempre attuale. Storia fatta con il sacrificio di gente semplice che serviva un Paese dilaniato ed il suo popolo ma fatta anche di grande coraggio.
Vi aggiornerò presto sul resto del materiale che sto studiando.